In memoria di don Sergio Rizzotto (Monteforte 20/08/1924 - 11/05/2015)
Parroco di Orti dal 1962 al 1974
Parroco di Orti dal 1962 al 1974
«Son partìo dal Ponte
co in man na valizeta, on panetìn e on poca de ùa». Cosi comincia il
racconto che don Sergio Rizzotto ci ha fatto dei suoi sessant’anni di vita
sacerdotale. Era l’autunno del 1944 quando col trenino che passava dal Ponte,
accompagnato dalla zia Giovanna («un vero carabiniere»), Sergio ha raggiunto
Roverè, dove il seminario diocesano si era trasferito per sfuggire ai bombardamenti
della guerra. La preparazione di quel momento era durata alcuno anni.
«Ne avevo diciassette quando, una domenica, dopo le
funzioni, l’amico Mario Massareto mi
ha convinto a chiedere al curato di allora, don Angelo Nicolis, di prepararmi
all’esame di licenza media, necessario per entrare in seminario. Don Angelo si
è reso subito disponibile: "Anca
domàn!" mi aveva risposto. Con l’amico Olinto Gini abbiamo trascorso
dieci mesi e mezzo a studiare, rimanendo sui libri dalla mattina alla sera.
Ricordo ancora il discorso che mi ero preparato per la prova di francese».
Superato l’esame,
cosa è successo? C’era già il seminario che aspettava?
«No, ho frequentato il ginnasio all’istituto dei Padri
Stimmatini, più comodo da raggiungere, e solo per il liceo e gli studi di teologia
mi sono trasferito in seminario. All’epoca il percorso di studio era scandito
da cinque o sei tappe diverse, che cominciavano con la Vestizione e la Tonsura.
La Vestizione era ben lontana dall’Ordinazione ma segnava, anche
simbolicamente, l’inizio del cammino di seminarista. Ricordo bene che quella
domenica del 1948 fu Mons. Signorini a togliermi la giacca e vestirmi della talare.
Eravamo sull’altare maggiore della nostra chiesa e il parroco gettò via il mio
vestito con tanta forza che lo fece volare ben oltre le balaustre».
Poi, nel 1951, è
venuta l’Ordinazione e la Prima Messa a Monteforte.
«Era il mese di luglio. Per tradizione, le ordinazioni
sacerdotali si celebravano nella solennità dei SS. Pietro e Paolo, ma quell’anno
si è dovuto posticiparle perché un nostro compagno non aveva ancora compiuto i
ventiquattro anni prescritti come età minima per essere ordinati: era don
Lorenzo Bellomi, che negli anni Settanta è stato eletto vescovo di Trieste.
Siamo stati ordinati l’8 luglio e una settimana dopo ho celebrato la mia Prima
Messa a Monteforte. Ricordo la grande festa che c’è stata: bandiere
dappertutto, la banda che mi ha accompagnato nel cammino da casa alla chiesa,
il pranzo che è durato fino a sera. Ripenso anche all’entusiasmo, alla fede e
alla devozione con cui ho celebrato quella Messa e mi torna in mente una frase
che si leggeva nelle vecchie sacrestie per prepararsi alla celebrazione: "Celebra Missam ut primam, ut ultimam,
ut unicam". Se davvero celebrassimo nella nostra vita ogni S. Messa
come unica, essa sarebbe come la prima e l’ultima, e ci impegnerebbe a far si
che tutta la nostra vita sia dedita al Signore».
E i primi incarichi?
«Sono arrivati subito. Ad agosto ero già curato di
Vestananova e poi, nel 1955, mi hanno fatto "vicario adiutore" a
Valdiporro: avevo il compito di aiutare il parroco, che era anziano, e avevo di
fatto i suoi stessi poteri. Sono stati degli anni molto intensi: abbiamo attivato
l’asilo, l’Azione Cattolica (molto frequentata) e abbiamo ridato slancio a
quella parrocchia di neanche mille anime. Dico "abbiamo", perché
potevo contare sull’aiuto di una ventina di giovani che ogni domenica
scendevano a Verona per alcuni incontri formativi e per prepararsi ad essere
catechisti. Quando tornavano dalla città si fermavano sempre in canonica e si
cenava assieme. Che bei tempi!».
I migliori?
«Difficile dirlo. Sono stati entusiasmanti anche gli anni
a Orti di Bonavigo (dal 1962): anche qui, resi stimolanti dalla presenza di
moltissimi giovani. All‘epoca avevo addirittura rinunciato a fare le vacanze
durante il periodo estivo: preferivo approfittare di quel momento per l’incontro
con la gioventù. Ci si trovava tutti i mercoledì sera e la chiesa era sempre
piena. Ma gli anni che porto particolarmente nel cuore sono quelli passati
a Cellore».
È stata l’esperienza
più lunga: venticinque anni a guidare una parrocchia avranno lasciato molti
ricordi.
«Eh, ma non solo per quello… Lo sguardo tradisce un pizzico
di orgoglio. «Quegli anni sono stati straordinari per le vocazioni che sono
nate: per don Giorgio, don Marco, don Giuliano, don Andrea, don Sebastiano,
fratel Andrea. Il sacerdote è come un papà: in loro vedo dei figli, un po’anche
miei; porteranno avanti la mia stessa missione dopo di me e sono contento».
Ecco perché il
soprannome di "fabbricatore di preti"!
«Si, me l’ha dato un giornalista quando ho lasciato Cellore,
nel 1999, per tornare a Monteforte, oltre cinquant’anni dopo essermene andato.
Qui, più che il riposo da pensionato, ho riscoperto il dono di poter vivere il
sacerdozio in maniera più intensa, senza le incombenze e preoccupazioni di chi
deve guidare una parrocchia».
Nel ricordare i sessant’anni trascorsi dalla Prima Messa nel
luglio del 1951, don Sergio non ha mai smesso di sorridere, soprattutto con gli
occhi: «Il Signore mi ha fatto un grande dono: un carattere che mi ha permesso
di avvicinare la gente. Un sacerdote non può essere imbronciato, perché anche
se ha la luna, questo non interessa a nessuno. Invece, deve essere sempre disponibile
all’incontro, aperto agli altri, e un sorriso aiuta molto. E poi, se il
cristiano è il testimone della "buona notizia" che è il Vangelo, la
sua testimonianza non può che essere improntata alla gioia». Certo, assieme
alle gioie e alle soddisfazioni, i momenti difficili o di sconforto non saranno
mancati in questi anni, ma le tracce che hanno lasciato sono poche: don Sergio
ne è sicuro. «Scrivilo, scrivilo che mi,
me son godùo a fare el prete. È bastò meterghela tuta. E se tornesse indrìo,
con quela valizeta, partirìa ancora!».
Auguri, don Sergio, e grazie per la testimonianza di fede
che continua a mostrarci con il suo esempio!
Paolo Cagnazzo e Daniele Bogoni
Don Sergio Rizzotto: 60 anni di Sacerdozio, articolo
pubblicato su “Foglio Parrocchiale di Monteforte” Luglio 2011 pg 2
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